Dot sights

David Loom, 2007





Pensavo spesso alle zuppe liofilizzate, quelle che acquistano consistenza e sapore

semplicemente aggiungendo acqua, ecco: serve forse un immagine liofilizzata.


L’immagine acquista spessore, corpo e significato non più nello spazio stesso della sua rappresentazione,

ma esclusivamente nell'immaginario dello spettatore, adagiandosi “decompressa” nella sua memoria visiva.


Durante una passata produzione videoscenografica in teatro mi è capitato di dover escogitare un metodo

per "alleggerire" l'aspetto delle immagini in movimento, affinchè la loro grande dimensione

non invadesse lo spazio scenico e l'azione attoriale che in essa avrebbe dovuto vivere sinergicamente.


Varie sperimentazioni hanno portato infine ad un immagine formalmente non invasiva, dall'aspetto sintetico,

frutto appunto di una sintesi sottrattiva: una lineare matrice di punti luminosi, monocromatici ed equidistanti nello spazio.

Dal nero le immagini emergono scarne ma leggibili e davanti ad un immagine epurata da colore, dettagli e forme definite,

lo spettatore è sostanzialmente portato a compiere un operazione (molto spesso inconscia) di interpolazione visiva,

si colmano così soggettivamente gli interstizi mancanti.


Anche il tempo dell'azione nelle immagini in movimento appare stilizzato, accennato da un moto lento che ne asseconda la narratività:

se in un - primo piano di un volto - si accenna leggermente al movimento rallentato di capelli mossi dal vento,

in una - panoramica con passaggio di bicicletta - la velocità si accentua sul movimento di camera

per poi rallentare nuovamente appena il soggetto raggiunge il primo piano.

Il moto delle immagini, seppure costantemente rallentato, muta in funzione dell'attenzione

che determinati dettagli necessitano ai fini della narrazione.


Lo sviluppo appassionante di questa modalità di rappresentazione visiva mi ha condotto

ad un successivo studio di applicazione di questa tecnica alla composizione di immagini statiche.

Pannelli di grandi dimensioni composti da una base acrilica di nero opaco rivestito da una equidistante campitura

di piccole tessere quadrate realizzate in spesso cartone pressato di assortite tonalità di grigio.


L'apparente ripetitività astratta della matrice di tessere, osservate ad una distanza considerevole

diventano, nell'immaginario dello spettatore, forma evocata.


Ancora nessun colore, nessun processo pittorico, solo ordinate e scandite note di bianco su fondo profondamente nero ed opaco.

L'immagine necessita ancora una volta di un invisibile sforzo da parte dello spettatore per essere effettivamente “letta”.



Ma perchè tu fai questo?

Dovrei forse limitarmi alla semplice interpretazione

di polimorfici cumuli e cirrocumuli

in lento movimento nell'atmosfera terrestre?





David Loom, 2007





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